Una chiacchierata con Ambrogio Beccaria
Ambrogio, nessun italiano prima di te ha portato a casa un piazzamento del genere in una classe monotipo alla regina delle transatlantiche in solitario. Come hai fatto?
La Route du Rhum è una gara durissima, ma se finisci per lamentarti è finita perché è una lotta continua, una regata molto “mentale”.
Son partito che avevo navigato in solitario solo durante la qualifica, quindi 4 giorni e mezzo da Lisbona a Lorient, percorrendo 1200 miglia, dove però la barca non era ancora “matura”: c’erano ancora molte cose da gestire e risolvere. Primo fra tutti, sul gestire le vele in solitario non ero assolutamente pronto: la prima volta che ho davvero iniziato a manovrare è stata durante la Route du Rhum, e mi son accorto che manovravo veramente ma veramente male, impiegando moltissimo tempo ed energie. Anche perché l’ultima volta che ho navigato da solo era due anni fa durante la Mini-Transat 2019. Per fortuna la prima settimana è stata tutta di bolina, e ho così avuto modo di prendere la mano, ambientarmi su ALLAGRANDE-PIRELLI e in oceano, per ritrovare i miei ritmi e finalmente fidarmi di quello che facevo.
Ho rischiato più volte di rompere qualcosa… non so come sia possibile che il gennaker grande sia ancora lì!
Com’è stato navigare senza strumenti?
Quando ho rotto gli strumenti, ho pensato che la regata fosse finita, e che le ambizioni sportive potessero essere davvero messe da parte.
I piloti automatici non li conosco poi così bene perché ho navigato anche molto in doppio, alternandomi al timone con il co-skipper durante i turni, ma mi sono accorto che hanno proprietà notevoli. Quando sono rimasto senza i sensori del vento, l’unico pilota automatico che potevo usare era quello a bussola. Ho scoperto che potevo indicargli sia i gradi bussola che un limite di sbandamento o un range di sbandamento accettabile. Quindi la barca andava molto bene quando dovevo fare bordi molto lunghi sulla stessa rotta, mentre quando si doveva andare con la VMG (la Velocity Made Good di una imbarcazione a vela è la proiezione del suo vettore velocità lungo la direzione del vento) era molto più complicato.
Credo che la cosa che mi ha più penalizzato sia stato il fatto di non sapere che vela mettere, ma questa cosa alla fine ha avuto anche un risvolto positivo: mi ha tolto un po’ di pensieri! Non potendo essere matematicamente sicuro delle scelte che facevo, mi dicevo: non so bene come andrà, proviamo!
In più, ho sempre cercato di limitare al massimo le manovre e i cambi vele perché rischiavo sempre di spaccare qualcosa e ci impiegavo troppo tempo.
Se non avessi perso i sensori del vento, dici che Yoann Richomme, il primo classificato in Class40, sarebbe stato più a portata?
Hai invece raccontato che con il tuo avversario Corentin Douget, che alla fine è arrivato terzo, vi mandavate dei messaggini, che cosa vi scrivevate?
Richomme ha il palmares più impressionante della vela oceanica: nel giro di 6/7 anni ha vinto 2 Solitaire du Figaro (storica regata in solitario a tappe su Figaro3, NdR) e 2 Route du Rhum.
La prima settimana della sua regata andrebbe incorniciata sia per la barca che per lui stesso… la barca era molto potente e va fortissimo di bolina, poi una volta che è entrato negli alisei aveva un vantaggio già enorme e, grazie ad esso, prendeva sempre più vento. C’è da dire che di poppa io sicuramente andavo di più, ma in questa regata lui è stato irraggiungibile.
Inevitabilmente anche l’esperienza ha contato: lui ha già alle spalle un’altra Route du Rhum (vinta nel 2018, NdR) su un Class40.
Corentin invece è tutto un altro profilo, qui dicono che è un vecchio volpone… Ha 48 anni e alla fine in queste regate conta molto l’aspetto fisico e mentale. Quando ha capito che avevo cambiato gennaker e che andavo molto più forte, ha cominciato a scrivermi messaggi: “No ma è rischioso andare così forte alla fine della regata… stai attento che così spacchi tutto…”. Su di me tutto ciò invece aveva l’effetto opposto e mi gasava ancora di più perché mi dicevo: “Guarda come soffre Corentin che sto andando il doppio di lui!”
Cercava di rallentarmi, di distrarmi, ma invece mi spronava ancora di più!
Se tu dovessi dirci i tre momenti decisivi della tua regata che cosa diresti?
Dunque, uno dei tre momenti è stata sicuramente la partenza e le prime 10 ore: anche se son regate di 2 settimane, partire in testa e manovrare bene, ti serve per darti la carica. Perché inevitabilmente sei consapevole e sai che hai davanti 13 giorni di regata in cui non puoi mollare un centimetro… La partenza mi è venuta molto bene e son molto contento: c’era un tale alto livello di concorrenza che nulla era scontato.
Poi altro momento decisivo è stata la virata per andare a cercare il terzo fronte il 5° giorno. Questo è stato, a mio avviso, il momento clou della regata. Durante l’intero percorso abbiamo preso quattro fronti: il secondo è stato quello dove abbiamo spaccato tutti, due Class40 hanno disalberato quando erano molto vicini a me. È stato il momento in cui mi sono sentito veramente vulnerabile, e più di tutto è stata una prova psicologica: nessuno a quel punto voleva andare a prenderne un altro. Il terzo fronte lo siamo proprio andati a cercare prima delle Azzorre. Questo era più “sdraiato”, per cui se eri più a Nord, forse riuscivi ad agganciare il vento prima degli altri. Ovviamente tutti i software e i modelli ti dicevano di andare a caccia di quel vento, ma dopo i giorni passati nessuno aveva voglia di andarsi ad infilare là dentro… Ho parlato un po’ con Alberto Bona al VHF, e neanche lui aveva molta voglia di andare a Nord… Il momento in cui abbiamo deciso di virare per andare a prenderci quel vento è stato decisivo, e alla fine l’ordine di virate è quasi l’ordine di arrivo.
Infine, direi la gara di nervi e velocità negli alisei. La corsa negli alisei è stato un altro momento difficilissimo perché era pieno di groppi che potevano ribaltare la situazione in un attimo, e aumentare o accorciare le distanze veramente repentinamente.
Come è andata l’ultima notte?
È stata la notte più incredibile che io abbia mai trascorso in barca. Non avendo gli strumenti, vedevo che c’erano molti groppi ma non riuscivo ad anticiparli veramente. Io li avevo una scelta: ridurre la vela o strambare prima di Corentin… tanto avevo messo la vela più grossa e sarei arrivato in layline prima. Questa seconda mossa ha pagato parecchio, ma poi arrivando sul bordo della layline son andato più piano perché il vento era aumentato troppo e la barca faceva delle surfate micidiale, che si inchiodavano nell’onda dopo.
Lì Corentin andava più forte di me e io ho cercato di timonare il più possibile. Poi arrivando verso la costa della Guadalupa, il vento è diminuito e nell’ultimo tratto ho letteralmente tritato Corentin: facevo un nodo di media secco in più di lui, tantissimo!
Come hai gestito le ultime miglia, il famoso giro attorno all’isola?
La barca al lasco ha qualcosa in più di tutte le altre. Ci ho messo tanto a scegliere quale vela mettere, e alla fine quella più grande ha pagato!
La cosa difficile era proprio capire quale vela issare senza strumenti, perché anche con lievi differenze di vento l’effetto di una vela piuttosto che di un’altra è davvero notevole. L’ultima notte poi ho incontrato dei groppi veramente grossi e non so come il gennaker sia riuscito a sopravvivere: c’erano dei rumori impressionanti. Devo dire che la barca mi ha davvero aiutato.
Non sembra che ALLAGRANDE-PIRELLI sia una barca di bolina, come si conduce una barca del genere in questa andatura?
In realtà questa barca di bolina con un po’ d’aria è un treno!
Alla fine, noi abbiamo come target di bolina circa 9.5 nodi, ovviamente sei molto basso di angolo, ma in oceano è sicuramente più importante la velocità rispetto all’angolo. Il problema della bolina è che la vita a bordo diventa parecchio complicata, perché non riesci a stare in piedi!
Di bolina ci siamo trovati in una situazione in cui avevamo il vento che proveniva da una parte e il mare dall’altra, e in queste situazioni si tirano delle sassate micidiali… In questi casi capita di dover tirare il freno: andare un po’ più piano per cercare di evitare di distruggere la barca.
Qual è secondo te il potenziale inespresso di ALLAGRANDE-PIRELLI?
Nei mesi prima della partenza, avendo pochissimo tempo a disposizione, abbiamo optato per rendere la barca il più affidabile possibile, cosa che ci è riuscita parecchio, ma non abbiamo mai investito un minuto per ottimizzarne le prestazioni.
La barca può andare molto più forte di così, e io a bordo posso andare molto più forte di così.
ALLAGRANDE-PIRELLI è un aereo: con vento sui 15/20 nodi vola sull’acqua. Il livello di potenziale inespresso è enorme, soprattutto sulle vele: ho navigato senza poter usare i dati dei sensori, quindi chissà cos’altro potrà succedere! Di sicuro di lasco la barca può dire ancora tante cose.
Ogni giorno mi segnavo le cose che vorrei cambiare.
Dove la barca lasciava a desiderare in questa regata è stato il comfort: ALLAGRANDE-PIRELLI una barca molto più grande del mini6.50 ma molto meno comoda. Sicuramente bisognerà aumentare le comodità per risparmiare energia: già solo alzarsi in piedi era veramente faticoso su questa barca. Poi un’altra cosa su cui lavoreremo sempre più sono le vele e le analisi dati, per capire meglio dove concentrarsi.
Quindi il Mini 6,50 è più comodo?
Il mini è molto più comodo all’interno, perché si muove meno violentemente, mentre qua alzarsi in piedi è di una difficoltà atomica.
Al contrario, ALLAGRANDE-PIRELLI fuori è molto più comoda, quasi da non mettere la cerata, mentre sul mini ogni onda erano secchiate d’acqua in faccia!
Come stai fisicamente? Le tue mani sono distrutte…
Bene! Le mie mani in realtà stavano bene fino a 24 ore dall’arrivo perché me ne sono preso cura: ho messo creme e guanti.
Il problema son state le ultime 24 ore perché eravamo in totale modalità sottomarina: o eravamo sotto un’onda o sotto la pioggia, perennemente sottacqua.
Tu e ALLAGRANDE-PIRELLI come ve la siete cavata in termini di prestazioni?
È molto difficile definire delle percentuali di prestazioni. La barca può andare sicuramente più forte, ma io ho dato tutto, più di così in termini di energia io non posso dare, sicuramente in termini di performance possiamo fare di più.
Ho dato tutto, e alla fine questa è stata la cosa che più mi ha soddisfatto: quando arrivi e hai dato tutto, sei proprio soddisfatto. Ma è tutta un gioco mentale: io stavo bene, e sapevo che gli altri avevano difficoltà. Quello che a me ha fatto bene in questa regata è stato proprio stare bene in mezzo al mare. Il mio allenatore prima di partire mi ha scritto: ricordatevi che è divertendovi che andrete forte e riuscirete a esprimervi al meglio!
Hai lavorato anche sulla preparazione mentale?
Non ho mai avuto nessuno che mi aiutasse da questo punto di vista, ma ho sempre pensato che fosse un mio punto di forza. Durante la regata non vorrei qualche intruso nella mia testa… mentre nel pre-partenza sicuramente avrei bisogno un aiuto a gestire lo stress.
Per questa regata il mio punto forte era la mentalità: nonostante là fuori fosse la guerre io ho lottato come un leone perché ero in grado di farlo ed ero concentrato sull’obiettivo.
La notte come te la passavi?
Ai Caraibi la notte dura 12 ore e in questo periodo non c’è la luna. Di notte non puoi timonare e ogni manovra è più difficile: quindi negli alisei dormi più la notte, mentre di solito riesco a dormire molto di più di giorno, perché so che di notte è tutto molto più complicato e preferisco restare sveglio.
Che cosa mangi a bordo?
Il cibo a bordo è molto importante. Se dicessi in giro che avevo una pentola a pressione i francesi si metterebbero a ridere, ma è sicuramente una cosa che a me fa bene e mi fa stare bene.
Attraversare l’oceano così è una cosa dura: un po’ di “effetto domenica” ci vuole!
A bordo avevi alcol?
Assolutamente no, ti massacra! Io non ho mica il fisico per fare certe cose, se bevo una birra a bordo mi riprendo dopo una settimana.
È uno sport che muta ma che non butta via gli approcci di tanti anni fa: ci sono modi diversi di andare per mare.
Questa barca sembra costruita su di te, però corre voce che qualcuno sia già molto interessato!
Andrea Fornaro ha già ordinato la barca, e per me è un plus perché avere qualcuno con la stessa barca ti permette di allenarti e competere confrontandosi direttamente.
La barca era già ammirata ancora prima di navigare, e questo ovviamente mi ha molto lusingato.
È stata comunque una follia progettarla e costruirla: ma eravamo tanto folli quanto sicuri di potercela a fare.
Quali sono i programmi futuri?
Alla fine, noi ci credevamo anche un po’ in questo secondo posto, e onestamente io son partito sperando di vincere. Poi so bene che era un sogno da ingenuo, però io a quelle piccole percentuali che mi vedevano vincitore ci tengo, me le tengo strette! Quindi ecco questo secondo posto non ci stravolgerà i programmi.
Adesso la barca resterà ai Caraibi fino a maggio. A febbraio faremo la RORC Caribbean 600 ad Antigua, una regata in equipaggio di poche miglia; poi è in programma la Défi Atlantique 2023: regata di ritorno in Europa. Si parte dalla Guadalupa, si fa scalo alle Azzorre e si arriva a La Rochelle.
Io la vorrei fare in doppio, non ho ancora deciso con chi, o meglio, non voglio ancora svelarlo...