P ensavo fosse un deserto liquido. Avevo paura sotto tutti i punti di vista ma soprattutto avevo paura di sentirmi solo. Era la mia prima regata oceanica in solitario. Eravamo partiti da Les Sables d’Olonne, in Francia in direzione Azzorre, isola di Horta. Non ci si arriva per caso a fare uno sport del genere. Ovviamente erano anni che sognavo di fare questa cosa e di conseguenza avevo già navigato molto, ma solo in Mediterraneo e soprattutto di solitario ne avevo fatto poco. In barca quando sei solo il rapporto con il mezzo diventa molto importante, quasi umano. La relazione con la barca è tutto, con la barca ci parli, l’ascolti. Quindi per me la musica è sempre stata bandita nelle regate oceaniche: avevo paura che se avessi tradito per qualche minuto la voce della mia barca questa si sarebbe sicuramente offesa, forse avrei perso in qui pochi minuti un messaggio fondamentale che voleva dirmi. Ma una cosa è cambiata proprio all’arrivo verso le Azzorre, dopo circa 9 giorni di navigazione, la radio di bordo che uso per ascoltare il meteo si è accesa da sola e questa volta in modalità FM, quindi sulle frequenze delle radio normali che trasmettono anche musica. Come se la barca avesse voluto dirmi che non si sarebbe offesa. Aveva capito che ero alla sua altezza e che potevo portarla attraverso l’Oceano, mi stava facendo capire che la barca si fidava ciecamente di me. E questa musica portoghese che usciva misteriosamente da dentro la mia barca me lo ha fatto capire. Erano 24h che ero davanti a Pico, un vulcano alto quasi 2500metri, i portoghesi dicono che si mangia il vento. Calma piatta in mezzo all’oceano, un Dorado si ripara all’ombra sotto la mia barca e Pico che non avanza di un soffio. All’improvviso si gonfia questa nuvoletta soffice per poi sciogliersi di nuovo sotto il calore del sole, non ricordo per quanto tempo ho passato ad ammirare questo fenomeno meteo con un sottofondo musicale, e mi sono accorto che stavo piangendo. Mi sembrava all’improvviso tutto perfetto, credo che sia stata una delle poche volte dove veramente ho sentito come un legame con questo pianeta come si può avere con una persona, in quel momento mi sentivo innamorato della Terra e di tutti si suoi abitanti. Quella melodia portoghese e incredibilmente malinconica aveva una potenza micidiale. Ma credo che se avessi ascoltato anche una canzone qualsiasi mi sarei messo a piangere. Quando navighi da solo per tanto tempo hai pochi stimoli da fuori e impari anche ad annoiarti. All’improvviso mi sono sentito invece bombardato da emozioni esterne chiaramente ingigantite da questa melodia. Non sono riuscito a smettere fino all’arrivo, per altre 24h praticamente senza vento, l’unica cosa che mi dava la forza di continuare a lottare contro l’assenza di vento era la speranza che la radio continuasse a suonare fino all’infinito. Una volta arrivati a Horta ho deciso di comprare un Mp3 e prepararmi una playlist per il ritorno. La canzone di quella tratta è stata senza dubbio ho visto un re, di Jannacci. Per me tutte le canzoni di Jannacci sono dissacranti, e io volevo fare cosi con la retorica del navigatore coraggioso ed eroico, la volevo prendere in giro. Ha portato bene perché quella è stata la mia prima vittoria in oceano. Quella corsa per me è stata quella che mi ha fatto capire che avrei voluto fare il navigatore per tutta la vita, che non sarei riuscito più a tornar indietro. Avevo capito che la musica poteva darmi una mano soprattutto nei momenti difficili. Questi momenti si distinguono in ordine per: tempesta, onde più alte della mia barchina di 6.5 metri, cibo orribile, fatica fisica, assenza di sonno. Bisogna aggiungere a questi momenti che io sono in regata, la competizione è sicuramente la cosa che più mi spinge anche se per me è un mezzo e non un fine. In quei momenti ultra complicati ho scoperto che la musica, usata con prudenza, mi dava un’energia insperata. La discesa lungo il Portogallo della Mini Transat del 2019 la associo subito a questi momenti di adrenalina pura, accompagnato dai Verdena. Nella vita non avevo mai fatto nulla di tanto estremo, non mi ero mai sentito cosi vicino al mondo selvaggio, mi sentivo parte integrante di quello che c’era attorno a me, e non c’era nulla dalle sembianze umane. [Questo brano è uscito su THE PASSENGER – OCEANO, book magazine pubblicato da Iperborea]